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L’Accademia della Crusca sdogana il “qual’è” apostrofato

La versione apostrofata di “qual’è” è apparsa ripetutamente su Italiano Digitale, la rivista trimestrale dell’Accademia della Crusca, che però poi ci scrive...


L’utilizzo della versione elisa “qual’è” sulla rivista della massima autorità linguistica italiana rappresenta il punto di svolta per l’accoglimento a pieno titolo del qual’è nella nostra lingua. L’informatore è molto contento di questo. Ma il giorno dopo dalla rivista arrivano smentite...
*AGGIORNAMENTO Leggi note alla fine.
Prima o poi doveva succedere. Ed è successo. Anche l’Accademia della Crusca ha utilizzato il qual’è apostrofato in una sua pubblicazione dando all’elisione di “quale” l’ultima legittimazione che gli mancava.
Ma procediamo con ordine.
Italiano Digitale, rivista trimestrale dell’Accademia della Crusca
La rivista della Crusca
Italiano Digitale è un’importante pubblicazione della Crusca. L’Accademia stessa presenta la rivista così:
   “Italiano Digitale” è la rivista che, dal luglio 2017, raccoglie le pubblicazioni in Rete del sito dell’Accademia della Crusca: schede di consulenza linguistica fornita ai lettori, schede lessicografiche dedicate alle parole più recenti dell’italiano, temi di discussione proposti dagli accademici, articoli di interesse linguistico e storico-linguistico che l’Accademia sceglie di valorizzare.
In altre parole, si tratta della bibbia trimestrale della lingua italiana edita dall’Accademia stessa, sotto la supervisione del presidente Marazzini e della folta schiera di esperti il cui nome abbiamo imparato a riconoscere grazie alle ottime analisi con cui hanno deliziato, negli anni, chiunque osservi attentamente l’evoluzione della nostra lingua.
L’edizione VI della rivista 2018/3 luglio-settembre (pubblicata pochi giorni addietro sul sito dell’Accademia) riporta a pagina 91 un articolo del prof. Salvatore Claudio Sgroi su Giovanni Nencioni, che fu presidente della Crusca e professore di Storia della lingua italiana e di Linguistica Italiana a Firenze e a Pisa, e sui suoi insegnamenti.
A pagina 93 si osservano tre ripetizioni del “Qual’è” apostrofato:

Utilizzi multipli del “qual’è” apostrofato in Italiano Digitale, la rivista dell’Accademia della Crusca.
E se a qualcuno venisse il dubbio che si tratti di un refuso, sappia che così non è: una nota a pié di pagina conferma che l’apostrofato è stato una scelta cosciente e difesa dell’autore (prof. Sgroi):
[Si precisa che si conservano le grafie qual’è e pò su richiesta dell’autore (N.d.R.)]
(Certo, la nota fa venire il dubbio che non proprio tutti fossero d’accordo con la scelta in redazione, ma questo poco importa. I “qual’è” apostrofati sono lì in bella vista.)
Punto, game, set e partita
Se la discussione tra chi vuole libertà di apostrofare il qual’è (i qual’enquisti) e chi si ostina a dichiararlo errato (gli apocopisti) fosse stata una partita di tennis, questo sarebbe il matchpoint, il punto finale che conclude la partita.

Qual’è l’analogia tra ortografia e tennis? Leggete…
Ripercorriamo le fasi principali “dell’incontro” per chi si fosse sintonizzato solo ora.
Come avevo spiegato in articoli precedenti, la regoletta del “qual” apocopato è stata fatta propria dalle scuole italiane per vari decenni.  La Crusca e varie grammatiche hanno provato a spiegare la logica che sottende a tale regola per anni, ma c’è sempre stato un grosso problema: quel ragionamento semplicemente non regge. Infatti è proprio quella stessa logica che porta dritta dritta a giustificare l’elisione anziché il troncamento (apocope).
Le grammatiche provano a spiegare il “qual è” troncato ponendo la domanda se davanti a consonante si usi “qual” o “quale”, e concludendo che si utilizzi “qual” dal momento che esistono espressioni tipo “qual buon vento”. Il problema è che quelle sono solo frasi cristallizzate (e un bel po’ vetuste). Di contro, in italiano moderno, si usa esclusivamente “quale” davanti praticamente a ogni parola, incluse tutte le forme del verbo essere che inizino con consonante.
Stando così le cose, difendere con la logica il “qual” come unica forma corretta diventa impresa assai ardua: “qual” è un ferrovecchio ottocentesco. Non ha più la forza per reggere una regola grammaticale moderna.
A quel punto, la difesa degli apocopisti si era spostata sulla linea “prescrizionista” de “la regola è così. Lo dice la Crusca!”
Purtroppo per loro, anche quella difesa non ha retto molto. La Crusca, da anni, si dichiara apertamente descrittivista. “Descriviamo molto più che prescrivere” dichiarava l’Accademia tramite il suo account tweet ufficiale meno di un anno fa.

Ad ulteriore prova della scelta descrittivista, hanno avuto risonanza mediatica alcune recenti
uscite “ultra-descrittiviste” di accademici che, in nome della lingua viva, sembravano offrire un’aura di legittimità persino a buffi regionalismi quali “uscire il cane” o “scendere il pacco”, espressioni che i siciliani in primis riconoscono come errate in italiano e usate unicamente per farsi due risate (“Scendi il cane che lo piscio” per intenderci).


La Crusca ha recentemente preso posizioni assolutorie rispetto a regionalismi quali “uscire il cane”.
Non esiste quindi una Crusca prescrittivista, o quantomeno, se esiste, esiste clandestinamente. La linea ufficiale è un’altra. Persino la già citata scheda della Dott.ssa Raffaella Setti, l’accademica che nel 2002 ha redatto il parere sul “qual è”, se letta attentamente, gioca su due grosse ambiguità: essa lascia che la parola “regola” venga intesa sia come “legge” che come “usanza comune”; al tempo stesso il parere si limita a “consigliare” di rispettare tale “regola” e non certo a imporla.
Insomma, la scheda sul “qual è” permette al tempo stesso una sua lettura prescrittivista e una descrittivista, lasciando esplicitamente aperta la porta del cambiamento (rif: “per ora”).
In un tale contesto nulla sembrava fermare l’avanzata dell’apostrofato.
Una strenua difesa è stata messa su dal Prof. Paolo D’Achille a gennaio di quest’anno sul sito della Crusca stesso, intervento che ha dato il via ad una vera e propria disputatio sulla legittimità del “qual’è”.  
Nella discussione si è assistito ad avvenimenti eclatanti: D’Achille ha ammesso che “quale è” scritto per esteso è corretto, abbandonando a se stessi tutti quei vocabolari che affermano che “quale” davanti a vocale vada sempre troncato, uno dei baluardi storici degli apocopisti.
Non solo, nel legittimare il “quale è”, D’achille non ha indicato la regola che, secondo lui, renderebbe inapplicabile in quel singolo caso l’elisione, una regola generale dell’italiano. Un problema non da poco per chi vede la versione elisa di “quale” come fumo negli occhi.
Dopo di ciò, D’Achille ha richiamato l’uso dell’apostrofo negli articoli indeterminativi come ragione del trattamento analogo per “quale”. Questa è stata una mossa eccezionalmente debole: anche uno studente di scuola media sa che gli articoli indeterminativi italiani sono un, uno e una. Se “un’ala” può essere tranquillamente sciolto in “una ala”, giustificando l’apostrofo, lo stesso non si può dire di “un aereo”: nessuno si sognerebbe di scindere le due parole in “uno aereo”. I due elementi sono già scissi. Nel caso del maschile non c’è nulla da elidere. Non esiste un “uno” eliso o troncato in italiano. Ben diverso il caso di “qual’è”, che ogni madrelingua espanderebbe in “quale è” (come in molti fanno spesso e legittimamente, per ammissione dello stesso D’Achille).

Osservando come procedeva la disputatio nei commenti degli utenti, la difesa si era fatta difficile. A quel punto era intervenuto in soccorso della posizione apocopista il presidente dell’Accademia, Claudio Marazzini, portando all’attenzione di D’Achille dei dati di Google N-Gram che confrontavano l’adozione nel tempo di apocopato e apostrofato: la trincea si era formata intorna alla constatazione che la versione apocopata si sia fatta di gran lunga maggioritaria su libri e giornali negli ultimi decenni.


Il diagramma sull’uso di qual’è con e senza apostrofo negli ultimi due secoli
L’osservazione era forse corretta, ma aveva un grosso difetto: non era rilevante. L’italiano è pieno zeppo di espressioni che si scrivono in due o tre modi diversi.
‘Sé stesso’ e ‘se stesso’, ‘non ostante’ e nonostante, ‘chi sa’ e chissà, ‘se mai’ e semmai, aguato e agguato, ciliege e ciliegie, e moltissime altre locuzioni sono tutte contemplate dai vocabolari italiani come corrette nelle molteplici forme senza che nessuno per questo si stracci le vesti. Rispetto agli esempi riportati, il “qual’è’” apostrofato è decisamente più comune di quelle espressioni, sia nell’italiano del secolo scorso che in quello attuale, sia nell’italiano letterario che in quello usato comunemente sui social. Un’adozione solo relativamente bassa non giustifica di per sé l’ostracismo verso i qual’enquisti da parte di chi si dichiari descrittivista.
Conclusione
“…l’uso scritto, per ora, non è così forte o autorevole da spingere in direzione dell’accoglimento della forma elisa con apostrofo.” scriveva l’anno scorso il team della Treccani.
Benissimo.
L’ultimo numero di Italiano Digitale annienta definitivamente anche questa osservazione e consegna al “qual’è” apostrofato la legittimazione che gli era stata tolta per lungo tempo e che gli spetta di diritto. Qual’è apostrofato fa bella presenza di sé in tutti i contesti, incluso una pubblicazione della Crusca, e non può più essere considerato errato comunque la si guardi.
L’ultima parola a Nencioni
Le parole più indicate per chiudere questo articolo le offre Nencioni stesso nell’articolo con cui il Prof. Sgroi ha portato il “qual’è” nel gotha della lingua italiana.
Qual’è il ruolo dell’insegnante dinanzi alla continua variabilità della grammatica della lingua e alla tendenziale fissità della grammatica dei grammatici?
Secondo Nencioni, per quanto riguarda l’educazione meta-linguistica, lo studio cioè della grammatica teorica, «L’insegnante di lingua potrà profittare di questo stato di agitazione [dell’italiano] non per violare la norma necessaria o per rinnegarla, ma per spiegarne la natura e per togliere di mezzo tante false regole grammaticali enunciate da una tradizione razionalistica e restrittiva, ripristinando le flessuose libertà di cui la nostra lingua godeva in antico e che, represse nello scritto, si sono mantenute nel parlato»
E ancora:
«Le lingue naturali non sono algebriche e danno scacco matto ai grammatici e ai loro volenterosi settatori. Mi verrebbe la voglia di maledirle se non fossi loro creato e vassallo»
Insomma, Nencioni stesso era un descrittivista e ci invitava a non esagerare col purismo e con l’inquisizione grammar Nazi.
Buon “qual’è” apostrofato a tutti!


DAL DIRETTORE DELLA RIVISTA “ITALIANO DIGITALE” RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Gentilissimo direttore,
in merito all’articolo di Luca Passani “L’Accademia della Crusca sdogana il “qual’è” apostrofato” intendo farle sapere, in modo netto e deciso, che la notizia è completamente falsa.
L’Accademia della Crusca non sdogana niente. L’articolo della rivista “Italiano Digitale” (che dirigo) a cui Passani si riferisce è un commosso ricordo di Giovanni Nencioni scritto da Salvatore Claudio Sgroi che ha chiesto esplicitamente di poter mantenere la forma per motivi personali. Una nota in fondo all’articolo chiarisce che questo non è l’uso suggerito dalla rivista e quindi dall’Accademia. Infine Salvatore Claudio Sgroi non è un Accademico della Crusca.
Il Presidente dell’Accademia, Claudio Marazzini, mi dice di aver in passato collaborato con voi e ha un buon ricordo del vostro giornale; ed è lui stesso che mi suggerisce di contattarla per smentire la notizia. In effetti mi risulta che il Presidente abbia rilasciato interviste da voi pubblicate in due articoli, del 6 e del 28 gennaio. Piacerebbe quindi a tutti mantenere i buoni rapporti del passato. Tra l’altro, visto quanto è successo, saremo costretti a correggere l’articolo di Sgroi, e quindi la notizia perderà ulteriormente di valore.
La prego di agire al più presto in questa direzione. Noi ci attiveremo per farlo su tutti i nostri canali.
La ringrazio e saluto cordialmente,
Marco Biffi
Non so bene cosa ci sia da rettificare, visto che mi sono attenuto ai fatti, incluso l’aver riportato la precisazione della rivista di aver voluto semplicemente assecondare una richiesta del prof. Sgroi.
Questo non significa, ovviamente, che non si possa parlare di “sdoganamento”. Come spiego puntualmente nell’articolo, è stata la Crusca a spostare la discussione del “qual’è” sul fronte di “non va bene perché non è usato”.
A quel punto, se il “qual’è” viene usato su una pubblicazione dell’Accademia, io difendo il diritto di affermare giornalisticamente che la Crusca ha “sdoganato” il qual’é apostrofato in una sua pubblicazione.
Da nessuna parte affermo che Sgroi sia un accademico della Crusca. Mi riferisco a lui come professore, ruolo che Sgroi effettivamente ricopre presso l’Università di Catania. Tra l’altro l’articolo riporta i link ai profili delle persone coinvolte nella discussione.
Luca Passani

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